Il futuro del naming dei prodotti plant-based e prodotti “simil-carne”: un appello all’innovazione

Nell'attuale panorama alimentare europeo, una rivoluzione silenziosa sta trasformando il modo in cui pensiamo al cibo. L'ascesa di prodotti vegetali (detti anche plant-based) che sostituiscono la carne sta guadagnando slancio, alimentata da valori di sostenibilità sempre più diffusi e dalla crescente consapevolezza che ciò che mangiamo riflette non solo i nostri gusti, ma anche le nostre convinzioni etiche e ambientali. Tuttavia, questa crescita non è priva di sfide. In questi ultimi anni, varie proposte di legge in Europa minacciano di vietare termini generici come "Burger", "Nuggets", “Salsiccia" o “Affettati” per denominare prodotti di origine vegetale. Secondo alcune associazioni a tutela dei consumatori tali termini generici potrebbero essere fuorvianti poiché evocano il mondo della carne. Questa controversia pone una domanda cruciale: come dovremmo chiamare questi prodotti se il disegno di legge italiano venisse approvato dalla Camera?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo guardare oltre il semplice atto di mangiare. Dobbiamo considerare il contesto sociale e culturale in cui ci troviamo e comprendere la complessità del mercato vegetale. Esso si articola in due sottocategorie distinte, eppure interconnesse: i prodotti 100% vegetali, che imitano la forma del prodotto (per esempio la forma del burger) ma non hanno il sapore della carne, e i simil-carne, che replicano forma, colore e gusto della carne ma sono interamente vegetali. Questa diversità richiama un pubblico altrettanto variegato, formato da individui motivati dall'etica animalista, dalla sostenibilità, dalla salute o che semplicemente desiderano provare i prodotti simil-carne come i flexitariani. Mentre alcuni consumatori apprezzano il gusto della carne e desiderano ritrovarla anche nei prodotti vegetali, altri cercano un'alternativa che non solo soddisfi il palato vegetale, ma anche le loro convinzioni etiche e ambientali.

Con il potenziale divieto di termini generici universalmente riconosciuti come “burger”, ci troviamo di fronte a una sfida unica: come creare parole generiche che siano chiare ed accattivanti per tutti? La risposta, crediamo, risiede nell'innovazione. Piuttosto che fare meat-sounding, cioè usare parole associate al mondo della carne, ci si potrebbe concentrare sull'essenza dei prodotti plant-based ossia abbracciare l'unicità di questi alimenti e creare una narrazione basata su forme innovative, nuovi gusti e qualità degli ingredienti. Alcuni hanno già proposto di sostituire parole come “burger vegetale” con “disco vegetale” e “salsicce vegetali” con “tubi vegetali”. Il problema di una tale scelta è la poca attrattività o “freddezza” che ne deriva. Bisogna invece puntare sul gusto e il motivo profondo che spinge il consumatore a comprare tali prodotti. I prodotti vegetali, con la loro versatilità offrono un mondo di opportunità. Dobbiamo sfidare le convenzioni linguistiche e trovare nuovi modi di esprimere la ricchezza di questi prodotti. Questo significa spostare l'attenzione verso il mondo vegetale, enfatizzando le caratteristiche intrinseche che rendono questi prodotti unici e sottolineando il motivo principale per cui vengono scelti.

Per poter superare questo vocabolario carnivoro occorre porsi le domande giuste: cosa attrae nei prodotti vegetali? Quali sensazioni vogliono provare i consumatori quando li mangiano? O ancora, come rendere “sexy” il mondo vegetale? Questi input preziosi non solo ci aiuteranno a definire quali nomi generici usare, ma ci permetteranno di trovare sul mercato prodotti che rispecchiano veramente i desideri dei consumatori moderni. Dire che un prodotto plant-based è sano non è più sufficiente. Noi crediamo che oltre alla golosità del prodotto, ci sia anche la leva emozionale da sviluppare e sostenere, quella del consumatore 2.0, consapevole perché cosciente dell’impatto che ha sull’ambiente e sull’insieme della catena evolutiva e che questa sua scelta lo renda felice. Al di là dei nomi generici, anche i nomi dei brand devono evolvere in questa direzione. Brand come “Happyvore®” hanno proprio questo intento, aprire la strada ad una transizione alimentare pacifica. Bisogna creare nomi federatori, che esprimono il desiderio del consumatore, essere felici di mangiare bene, felici di fare del bene, felici di proteggere il pianeta.

In questa guerra delle parole, il consumatore vuole chiarezza con nomi che rispecchiano i suoi valori. Questo richiede intelligenza, creatività e professionalità nel proporre nuovi nomi di brand che vanno oltre il “Beyond Meat®” o il “Pare pancetta®”, nomi che facciano eco al mondo vegetale valorizzandolo, promuovendolo per farlo crescere. Con un approccio audace e un impegno verso la chiarezza e l'autenticità, possiamo creare una nuova narrazione che trasforma non solo ciò che mangiamo, ma anche come lo vediamo e come lo chiamiamo.