Lo (o la?) schwa per il linguaggio inclusivo. E i brand?


Viviamo tempi in cui il dibattito spinge con insistenza sull’inclusività.

L’italiano, come la maggior parte delle lingue latine che hanno solo due generi, maschile e femminile, definisce i termini collettivi e le pluralità miste contenenti uomini e donne con il plurale maschile. Per di più di molti termini, soprattutto lavorativi, il femminile non esiste o - se esiste ed è caldeggiato dai linguisti - stenta a diffondersi (vedi sindaca, ingengera), rafforzandosi così l’idea che un determinato àmbito sia appannaggio prevalente degli uomini. A questo si aggiunge la questione dell’orientamento sessuale non binario o fluido delle persone che non si identificano né in un maschio né in una femmina: se in alucne lingue esistono forme di fatto neutre come il they/them in inglese, utilizzabile anche al singolare, o l’hen in svedese, non è il caso dell’italiano.

Entra così in gioco lo (o la?) schwa o più correttamente, in italiano, scevà. Il termine, tedesco, viene a sua volta dall'ebraico šěwā', e l’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), il sistema che definisce la corretta pronuncia delle lingue scritte nel mondo, la indica con il simbolo /ə/. Lo/la schwa si colloca esattamente in mezzo all’intero sistema di vocali e la sua pronuncia è un suono indefinito, quindi perfetto per il suo scopo. Illustri linguisti come Vera Gheno e Luca Boschetto hanno individuato nello/a schwa uno strumento per un italiano inclusivo, da preferire alla U e alla X e a simboli come l’asterisco * o la chiocciola @.

Il problema è chiaramente di natura sociale, e questo è sicuramente un bene, segno che la riflessione sulla disparità di genere influenza la quotidianità, di cui la lingua è immediata espressione. Tuttavia la soluzione deve essere certamente e puramente linguistica, se si desidera che questa prenda piede sia nel parlato che nello scritto. E non è facile.

C’è chi si esprime a favore di una sua introduzione nella sola lingua scritta, perché, se si escludono gli esperti di fonetica e linguistica, lo/la schwa non è certamente accessibile: non se ne conosce la pronuncia. In questo senso è allo stesso livello di simboli come - appunto - i già citati asterisco e chiocciola, che non hanno un suono. Essendo la lingua viva, si tratta di un problema superabile con il crescere della consapevolezza collettiva, ma in questo momento storico, la problematica esiste. Lo/la schwa ha poi anche un problema in più, quello della difficoltà della digitazione su tastiere e dispositivi mobili, senza contare l’impossibilità di utilizzo per i domini web e la denominazione dei canali social. Anche questo potrà senza dubbio essere risolto con poco sforzo dai designer di strumenti e applicazioni, ma al momento anche questo problema esiste.

Mi sorge allora un quesito: come si comporteranno i brand italiani oggi in relazione allo/a schwa?

Parto da un’analisi su come le marche hanno utilizzato e utilizzano altri simboli come l’asterisco o i segni di interpunzione. Ecco cosa ho trovato.

F**K

F**K è un brand di abbigliamento il cui dominio internet effek.it svela la corretta pronuncia. Qui l'asterisco è chiaramente usato per malcelare un turpiloquio diffuso e conosciuto in tutto il mondo e annunciare chiaramente la promessa del brand: offrire abbigliamento provocante e sensuale.

Yahoo!

Il punto esclamativo alla fine del brand name aggiunge senza dubbio energia ed entusiasmo, non solo al nome ma all’intero sistema di identità di marca. Si tratta solo di un aspetto visivo, in quanto non porta con sé una variazione nella pronuncia. Fondamentale la coerenza dell’esclamazione con la natura del prodotto che si offre (bene per i servizi internet appena arrivati alla massa globale, non così bene per servizi legali).

We@bank

Webank era originariamente We@bank. La @ dava senza dubbio l’idea di una banca giovane, al passo coi tempi, focalizzata sul digitale e facilmente contattabile, ma il simbolo @ lasciava spiazzati i clienti, a detrimento del brand. Da qui, con tutta probabilità, la decisione del cambio di naming.

Strategy&

Strategy& è una società di consulenza manageriale che offre servizi anche al di là del supporto strategico. Ma senza ulteriori spiegazioni offerte (ad esempio attraverso un payoff) è difficile capirne la value proposition. Inoltre su sito web e canali social, la componente & viene declinata a volte in “and”, a volte in “+”, lasciando l’utenza con un senso di confusione.

85°C

Questa catena di caffé taiwanese usa numeri e simboli (facilmente pronunciabili) per indicare la temperatura ottimale nella preparazione del caffè: breve, distintivo e con una bella storia dietro la sua scelta.

Studiando questi e altri esempi, è chiaro che i simboli sono una pratica valida nel brand naming purché rispettino alcune condizioni fondamentali: abbiano un significato chiaro e coerente con il brand stesso, siano chiaramente pronunciabili, siano applicati in uguale modo in tutti i punti di contatto con il cliente, primi fra tutti sito e social.

Ma torniamo allo/a schwa. I brand, almeno quelli italiani, non ci si sono ancora avvicinati. Perché? Nella mia percezione, se ne sono accorti, ne sono attratti ma vedono, nella sua adozione, ancora troppi problemi. Visto che si tratta di un simbolo fonetico, è possibile proteggerlo? Il consumatore saprà pronunciarlo? Che connotazione gli darà?

Io invece mi chiedo, su scala più ampia: come influenzerà questo elemento, vero e proprio simbolo di cambio culturale, i nuovi brand, sempre pronti a incorporare i cambiamenti della società?

E soprattutto, si dirà lo o la schwa?


Un articolo di Camille Faure, Project Manager Nomen Italia

Roberta Bianchi